Bastano ventisette minuti a Martin McDonagh per mostrarci la sua bravura. In realtà ne servirebbero anche di meno ma prendiamoci tutto il minutaggio del suo esordio dietro la macchina da presa per un’analisi più concreta. Il suo è un cinema che profuma d’Irlanda e Six Shooter descrive perfettamente lo stile del regista, facendo da contenitore per tutti quei temi che ricorreranno, poi, nelle sue opere future. Un all-in che mette sul piatto il senso di colpa, il tema del perdono, la ricerca della pace interiore, la morte e tutta la violenza che da queste carte possa derivare, e che potrebbe tranquillamente essere rappresentato sotto forma di pièce teatrale, se non fosse per la consueta attenzione che il regista riserva all’ambiente circostante.
Così come, poi, sarà per In Bruges (2008), Tre Manifesti a Ebbing, Missouri (2017) o per l’ultimo e meraviglioso Gli spiriti dell’isola (2022), infatti, anche in Six Shooter il paesaggio fungerà solo marginalmente da cornice per il corso della storia. Una storia che, evitando come di consueto qualsiasi spoiler, ruota attorno a un manipolo di protagonisti apparentemente distanti tra loro ma, in realtà, legati da un cupo fil rouge disegnato con grande attenzione e intelligenza dal regista anglo-irlandese.

Ventisette minuti che scivolano via veloci ma assolutamente magnetici per lo spettatore che difficilmente troverà nel cortometraggio di Martin McDonagh, un vero e proprio punto debole. Una (quasi) black comedy dal gusto sfacciatamente british, che non sfigurerebbe affatto tra i lavori più grotteschi di registi come Quentin Tarantino, Park Chan-wook o i fratelli Coen, animata da dialoghi serrati e situazioni al limite del surreale con punte di cattiveria che giocano, più o meno velatamente, col senso del titolo. “Six Shooter” è il revolver il cui numero di proiettili (sei) ricalca, guarda caso, i punti focali del cortometraggio e, per dar voce a un umorismo punitivo e tagliente come quello presente nel cortometraggio, Martin McDonagh scrittura alcuni dei più interessanti attori che l’Irlanda possa offrire. Il “duo Gleeson”, Brandan (padre) e Domhnall (figlio), gira alla grande sia qui come in altre opere future – ma sul primo non c’era il benché minimo dubbio, essendo diventato col tempo un attore feticcio del regista – mentre David Wilmot (Black Sails, Ordinary Love) ha dimostrato in diverse occasioni che sullo schermo ci sa stare eccome.
McDonagh compone un mosaico di personaggi angosciati, stanchi e insoddisfatti, perfettamente delineati e umanizzati, muovendosi in una sceneggiatura sorprendentemente fluida e di assoluto livello. Presentato nel 2004 all’International Film Festival di Cork, l’opera di Martin McDonagh si aggiudicherà, poi, la statuetta come Miglior cortometraggio agli Oscar 2006, piantando le basi per i suoi successivi lavori. Trattandosi di un cortometraggio è ovviamente complicato chiedere al regista più di quanto non abbia mostrato con Six Shooter ma credo veramente si tratti di uno degli esordi più riusciti e spiazzanti dai tempi di Paul Thomas Anderson e il suo Sydney. E parliamo, ormai, del lontano 1996. Recuperatelo e godetevelo!
SCHEDA TECNICA
Regia: Martin McDonagh
Genere: Thriller, Grottesco
Paese: Irlanda, Regno Unito
Durata: 27 min.
Con: Brendan Gleeson, Rúaidhrí Conroy, Aisling O’Sullivan, David Wilmot, Gary Lydon, Domhnall Gleeson
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