Quei bravi ragazzi (1990), di Martin Scorsese

«Che io mi ricordi, ho sempre voluto fare il gangster. Per me fare il gangster è sempre stato meglio che fare il presidente degli Stati Uniti. Quando cominciai a bazzicare alla stazione dei taxi e a fare dei lavoretti dopo la scuola ho sentito che volevo essere dei loro. Fu là che capii che cosa significa far parte di un “gruppo”. Per me significava essere qualcuno in un quartiere pieno di gente che non era nessuno. “Loro” non erano mica come tutti gli altri, “loro” facevano quello che volevano, e nessuno chiamava mai la polizia».

Ho sempre avuto un debole per i film dall’incipit parlato. L’uomo dei sogni (Phil Aden, 1989), Bronx (Robert De Niro, 1993) e Trainspotting (Danny Boyle, 1996) ne sono soltanto un piccolo esempio ma quello di Quei bravi ragazzi, per quanto mi riguarda, è un incipit totalmente di un altro livello. Il monologo iniziale che il giovane Henry snocciola, descrivendo il fascino subdolo che la mala esercita su di lui, sprigiona un richiamo al cinema d’altri tempi a cui è difficile resistere. Viaggiare nella filmografia di Martin Scorsese è sempre un’esperienza meravigliosa se si evita di cedere al surreale vaneggiamento di ricondurre la fruibilità di un film a un mero calcolo del minutaggio. E per quanto riguarda Scorsese, questa è una critica che gli viene mossa fin troppo spesso. Ma da chi, poi?

Parlando di Killers of the Flower Moon ho già ampiamente spiegato perché ragionamenti del genere non dovrebbero nemmeno essere concepiti per il bene del cinema ma sorvolando su ogni sorta di polemica, credo che Quei bravi ragazzi rappresenti l’ideale punto di partenza per chiunque volesse approcciarsi al regista italoamericano. Il film del 1990 sprigiona, come forse nessun altro, la massima poetica del cinema scorsesiano. Chiariamoci, la sua è una filmografia costellata da innumerevoli capolavori e anche quei film (pochi) che non hanno raggiunto le vette di Taxi Driver o Toro Scatenato, entrano probabilmente tra i 100/120 migliori film di sempre. Credo, però, che in Quei bravi ragazzi ci sia qualcosa di così brillante e potente da averne caratterizzato l’intera carriera e affermarsi come un caposaldo del cinema gangster.

Tratto dal romanzo di Nicholas Pileggi, Il delitto paga bene, a sua volta basato sulla reale vita del pentito Henry Hill, ogni tessera del puzzle si incastra perfettamente con l’altra. Dalla sceneggiatura, scritta a quattro mani da Scorsese e lo stesso Pileggi, alla fotografia di Michael Ballhaus, fino a una colonna sonora incalzante e magnificamente amalgamata col contesto, che annovera grandissimi artisti, tra i tanti, del calibro di Tony Bennett, Aretha Franklin, Cream e Derek & The Dominos. Il compianto Ray Liotta offre forse la migliore interpretazione della sua carriera mentre Joe Pesci arriva ad aggiudicarsi l’Oscar come Miglior attore non protagonista (l’unico conquistato dal film su sei candidature complessive), in un’interpretazione che definire geniale sarebbe anche limitante. Paul Sorvino porta sul grande schermo tutto il carisma e la pacatezza di cui è capace, così come Lorraine Bracco è assolutamente fenomenale nei panni di Karen Hill, moglie del protagonista.

E poi Frank Siviero, Mike Starr, Frank Vincent e la mai anonima prova di Samuel L. Jackson a completare un cast che, diciamolo, accoglie più che volentieri un’eccezionale Catherine Scorsese e consorte, genitori del regista. Ma chi manca all’appello? Un tracotante Robert De Niro che porta in scena una performance di assoluto livello, colma di forza, brillantezza, carisma e solidità come non se ne vedono spesso. È un po’ il Segreto di Pulcinella che il premio Oscar per Il padrino – Parte II e Toro Scatenato (guarda caso), renda al meglio sotto la guida di Scorsese, tanto da averne assimilato l’essenza sia come attore che come regista. Ma fidatevi se vi dico che la sua presenza non può far altro che impreziosire un film già di per sé eccellente.

A più di trent’anni dalla sua uscita, in effetti, appare complicato analizzare non banalmente un film che è già stato sviscerato sotto ogni suo aspetto. Secondo ideale capitolo di una trilogia sulla mafia concepita da Martin Scorsese e composta da Mean Streets (1973) e Casinò (1995), c’è una scena sulla cui analisi è impossibile non soffermarsi, ossia l’iconica entrata di Ray Liotta e Lorraine Bracco al Copacabana. In quella sequenza c’è tutta la forza e la magia del cinema di Scorsese. Girata in single take, e realizzata quasi per caso, per via di alcuni divieti burocratici che impedirono alla troupe di girare passando dall’ingresso principale, la steadycam tallona i protagonisti che, per entrare nel locale, attraversano la strada, passano per l’entrata secondaria, scendono tra i corridoi per entrare nelle cucine e poi, finalmente, vedono apparir loro l’opulenza del club.

In quella scena c’è ben più di quanto non appaia a una prima occhiata: Ray Liotta seduce Lorraine Bracco coi suoi modi e la sua figura ma, al tempo stesso, è lo stesso Scorsese a giocare col pubblico. Lo ammalia, gli mostra il romanticismo e l’effimero fascino di un mondo facile e colorato, attraente ma figlio di una delinquenza senza scrupoli. E il regista è fenomenale nella sua eleganza, nella sua fluidità, nella passione che mette nel suo cinema. Semplicemente eccezionale.

Cinico, violento, brutale, a tratti comico, grottesco e straziante, Quei Bravi ragazzi è un’esplosione caricaturale della vita mafiosa. Martin Scorsese racconta i codici di una malavita che, da nativo di Hell’s Kitchen, ha odorato da vicino nel corso della sua vita. Un’etica delinquenziale che sembra legare tutti gli appartenenti alla stessa cerchia ma che, ben presto, si rivelerà fragile e menzognera. E se per Robert De Niro, Paul Sorvino e Joe Pesci c’era da metterci la mano sul fuoco, la vera sorpresa è arrivata proprio da quel Ray Liotta che, forte del successo de L’uomo dei sogni, era inizialmente inviso alla produzione ma che riuscì a conquistare il regista grazie alla sua insistenza e alla grande voglia di prendere parte al progetto. Però mi raccomando, quei Bravi Ragazzi lì, non chiamateli mai “buffi…”. È un consiglio.

SCHEDA TECNICA

Regia: Martin Scorsese

Genere: Biografico, Noir, Gangster, Drammatico

Paese: USA

Durata: 146 min.

Con: Ray Liotta, Robert De Niro, Joe Pesci, Lorraine Bracco, Paul Sorvino, Frank Vincent, Frank Siviero

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