Barbie (2023), di Greta Gerwig

PATRIARCATO! Il dente ce lo togliamo subito e l’espressione che in questi giorni impazza ferocemente attorno all’ultimo film diretto da Greta Gerwig, ve la metto in apertura di recensione, così da soddisfare anche la golosità dei giustizieri più furiosi. L’altro termine è DIDASCALICO, ma non avendo trovato un modo credibile di inserirlo nella mia analisi, non lo troverete in questa sede. La trama del film credo che sia più o meno nota a tutti, ma questo è un aspetto che poco mi interessa visto che chi di voi legge questo blog, avrà notato come, nelle mie recensioni, delle trame se ne parli poco o nulla. È invece interessante ragionare su tutti quegli aspetti che hanno portato un’ampia fetta di pubblico a giudicare Barbie come il nuovo capolavoro della cinematografia contemporanea.

Non me ne voglia Nanni Moretti ma, al momento di vedere il film della Gerwig, una delle prime sequenze cinematografiche che si è (ri)affacciata nella mia testa è stata quella del celebre botta e risposta tra lo stesso Moretti e Cristina Manni in Ecce bombo del 1978.

«Che lavoro fai?»

«Beh, mi interesso di molte cose: cinema, teatro, fotografia, musica, leggo…»

«E concretamente?»

«Non so cosa vuoi dire…»

«Come non sai? Cioè: che lavoro fai?»

«Nulla di preciso…»

«Beh, come campi?»

«Mah, te l’ho detto: giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose…».

E non me ne voglia nemmeno Peter Banchley se mi azzardo a paragonare Barbie alla traiettoria circolare che lo squalo compie attorno alla propria vittima prima di attaccarla, con la differenza, però, che il film di Greta Gerwig non affonda mai i denti nella “ciccia” dell’opera.

È uno di quei film che io definisco “vorrei ma non posso”. Quelli che si presentano ai blocchi di partenza con il peso del mondo sulle spalle e l’impellente necessità di aprire gli occhi ai dormienti. Partiamo dal principio: il messaggio che Barbie tenta di diffondere è sacrosanto e nessuno dotato di raziocinio dovrebbe mai dire o pensare il contrario. La scena in cui *SPOILER* Ken si meraviglia del non poter operare come chirurgo nonostante sia un uomo, può far sorridere ma non è poi così distante dalla realtà. Allo stesso modo, quando il dirigente della Mattel glissa con un: «il patriarcato lo applichiamo bene ma lo nascondiamo meglio», una riflessione dovrebbe manifestarsi, quantomeno nelle teste maschili.

Non bastano, però, le citazioni d’autore (è così che quelli bravi chiamano oggi le scopiazzature e le paraculate) per aprirsi la strada verso la morale del film e gridare al mondo intero di avere qualcosa da dire. Perché, altrimenti, parleremmo non solo di Kubrick e Fleming, ma anche di Brian De Palma e Il fantasma del palcoscenico nella scena dell’inseguimento in ufficio, o precipiteremmo addirittura verso American Pie – Il matrimonio (a voler essere molto cattivi) nella gara a passi di danza tra i due Ken. Ma gli omaggi emozionano l’incauto spettatore e fanno sempre la loro figura, anche se quel “qualcosa da dire”, poi non c’è.

Perché, però, ho evidenziato il termine “tenta”? Il motivo è molto semplice: Barbie ci prova ma senza convinzione. O meglio, lo fa con quella convinzione, e anche con un pizzico di presunzione che è propria dei film “vorrei ma non posso”. Si avvicina al punto cruciale ma poi si ritrae, fa un passo avanti e due indietro, lancia il sasso e nasconde la mano, giocando con leggerezza e in modo poco credibile e contraddittorio con un tema che meriterebbe una ben più nobile trattazione.

Se consideriamo, infatti, che tra le decine di Barbie mostrate nel film, l’unica su cui sarebbe stato il caso di puntare forte è quella stessa Barbie Stramba posta a margine dell’intera Barbieland, solo perché diversa e coraggiosa nel mostrare la propria personalità senza sentirsi gratificata esclusivamente per la propria posizione lavorativa, è evidente che il dinamico duo Gerwig/Baumbach si sia perso qualcosa per strada. Se invece la scelta era voluta e ragionata, allora è inutile aggiungere altro.

Un film per tutti: così è stato definito. Ragionandoci, il target di pubblico più maturo conosce già bene le problematiche legate al patriarcato e al matriarcato. Quello più giovane ignora sia la questione morale che ludica dell’opera, ma apprezza il rosa e nemmeno tanto le bambole. Quello di mezzo rimane schiacciato tra le critiche mosse a Barbie, positive e negative che siano, preoccupandosi più del massive pink flash mob che del vero significato del film. Però è un titolo che ha incassato una montagna di verdoni e allora così male non può essere, non è vero?

Le tanto osannate interpretazioni, per quanto mi riguarda, raggiungono a malapena la sufficienza e nessuno dei protagonisti porta sul grande schermo delle prove convincenti. Da Will Ferrell che per qualche motivo, a me ignoto, viene quasi considerato un fenomeno del cinema al pari (se non oltre) di Jerry Lewis, fino a Margot Robbie che si limita al perfetto sorriso plastificato della Barbie e ad occhieggiare in alto a destra e a sinistra, come va tanto di moda oggi. Poi c’è lui: quel Ryan Gosling che i bookmakers de noantri danno per sicuro vincitore ai prossimi Academy. Partiamo da un presupposto: io non l’ho mai pienamente apprezzato, anzi. La speranza che avevo di vederlo trionfare in un’ottica diversa dal solito, però, è andata franando dopo pochi minuti. Perché se davvero parliamo di prove attoriali magnifiche, ve lo dico con tutto il cuore: guardate più film e guardatene di migliore qualità.

Si ride? Mai. Le gag, infatti, sono al limite dell’imbarazzante a meno che non siate ancora nel periodo della scuola primaria ed anzi,  talvolta, imbarazzanti lo sono davvero. Il film strizza l’occhio (si dice sempre così?) ai musical anni ‘30/’40/’50 senza averne la forza e la consistenza. I dialoghi sono poco credibili, per usare un eufemismo, a partire dalla discussione che Barbie affronta a scuola quando le quattro ragazzebratz escono dal disagio iniziale con una tiritera morale la cui ampiezza lessicale sarebbe una manna dal cielo anche per un convegno delle Nazioni Unite.

Ma almeno, penso io, il tutto sarà accompagnato da una colonna sonora da far tremare le orecchie. D’altronde Ryan Gosling, che musicista lo è anche nella realtà, è appena entrato all’ottantasettesima posizione della Billboard 100 con I’m Just Ken, uno dei pezzi più profondi e intensi del film. E poco importa che alcuni giri della canzone richiamino, in alcune linee, Zombie dei Cranberries o se modificando il tempo del ritornello e la base si arrivi a ricalcare il super tormentone Despacito di Luis Fonsi. D’altronde si sa, le note sono solamente sette e mica potevamo aspettarci una composizione di Boccherini.

I produttori puntano allora sul comparto visivo, con fotografia e soprattutto scenografia a fare la parte del leone. Sarah Greenwood è una che il mestiere lo conosce ed anche molto bene, come testimoniano le sei nomination agli Oscar per i suoi lavori in opere come Espiazione, Orgoglio e Pregiudizio ed Anna Karenina. Magari ricostruire l’ambientazione di La La Lan… ops, scusate il lapsus… Barbieland, e basarsi quindi su di un universo di giocattoli già esistente e radicato non solo nell’immaginario collettivo ma anche nella realtà, può facilitare il compito. Possiamo ammettere, però, da amanti de Il Padrino, che anche questo aspetto non rappresenti nulla di trascendentale?

Barbie vuole sconvolgere, stupire e provocare ma non ci riesce nemmeno lontanamente. La protagonista si inalbera quando Ken la chiama “Baby” e rivendica: «Non chiamarmi così!», un po’ come fa Rose Villain con Achille Lauro nella hit dell’estate ma il tutto è di un pressapochismo davvero svilente. E il vecchio gioco di dire per non dire, con la ramanzina nel monologo finale fa davvero acqua da tutte le parti. Rimane un incredibile successo al botteghino e un’operazione “salva-cinema” che, per quanto mi riguarda, resterà confinata all’estemporaneità del fenomeno e che non salverà un bel nulla. Rimane anche una grande, grandissima, occasione persa per affrontare con leggerezza un tema su cui la società deve ancora lavorare tanto e tanto. Ma partendo dal fondo del barile, come in questo caso, i presupposti per migliorare ci sono tutti.

SCHEDA TECNICA

Regia: Greta Gerwig

Genere: Commedia, Fantastico, Sentimentale

Paese: USA, Regno Unito

Durata: 114 min.

Con: Margot Robbie, Ryan Gosling, America Ferrera, Michael Cera, Ariana Greenblatt, Rhea Perlman, Will Ferrell

Votazione: 5,0/10

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