«La violenza è sempre qualcosa che ci affascina. Ci attrae, che lo vogliamo o no». È lo stesso Fatih Akin, già vincitore dell’Orso d’oro a Berlino nel 2004 e del Premio Goya nel 2005 con La sposa turca, vincitore nel 2009 del Leone d’argento – Gran premio della giuria per Soul Kitchen e candidato all’Orso d’oro nel 2019 con Il mostro di St. Pauli, a fotografare il suo ultimo lavoro come regista. Come nelle sue precedenti opere, Akin torna ad esplorare tutti quei temi a lui cari come l’integrazione, il disagio che affligge gli stranieri di seconda generazione e l’esaltazione dell’orgoglio identitario. E lo fa raccontando la vita rocambolesca del rapper curdo Giwar Hajabi, in arte Xatar, dalla travagliata nascita, alle delicate fasi della crescita, fino alla sua consacrazione come rapper “dei Gangsta per i Gangsta”, nel biopic autobiografico Rheingold.
Un’opera cruda e realistica che il regista dirige senza mai dimenticare i suoi stessi trascorsi giovanili, allontanandosi talvolta dal fulcro della storia ma, tutto sommato, confezionando un prodotto interessante e ben riuscito, che mantiene alta l’attenzione dello spettatore anche e soprattutto grazie ai coinvolgenti flashback iniziali. C’è violenza in Rheingold. E tutto il film è una continua rincorsa del protagonista verso il riscatto da una vita di sofferenze e frustrazioni. Una fuga dalla tragicità del destino a qualsiasi costo, quasi fosse una moderna rilettura (con le dovute e ampie cautele) di Scarface. Entrambi stranieri emigrati in un’altra terra, entrambi ossessionati dalla scalata al successo, entrambi destinati, prima o poi, al duro scontro con la legge.

D’altronde il nome del protagonista è Giwar, e come ci spiega la madre, interpretata nel film da una superba Mona Pirzad, quel nome significa “Nato dalla sofferenza”. Venuto alla luce sotto i bombardamenti dell’Iran di Khomeyni, infatti, il piccolo Giwar Hajabi cresce in una famiglia di combattenti curdi per la libertà nazionale. La madre è un’eroina popolare e il padre (Kardo Razzazi) un apprezzato musicista e compositore che si cala piuttosto maldestramente e controvoglia nel ruolo del guerrigliero. La prima parte del film è scuramente quella più avvincente e le scene girate tra la Siria e l’Iraq sono davvero notevoli, sia per realismo che per accuratezza.
Fatih Akin non subisce il peso di uno dei suoi progetti più importanti e prosegue nel raccontare la storia di Xatar accompagnandolo nel suo percorso di maturazione in tutta Europa. Da Parigi a Bonn, fino ad Amsterdam e Stoccarda, l’ascesa dell’ex criminale curdo si va delineando nella seconda parte della pellicola, dove, ahimè, si incappa in qualche leziosismo di troppo. La pur ottima sceneggiatura, infatti, finisce un po’ con lo scricchiolare quando alcune sequenze si mostrano piuttosto estemporanee e poco rilevanti per il proseguo della storia. Se però le interpretazioni della Pirzad e di Razzazi sono, come detto, di alto livello, sarebbe ingiusto sorvolare sulle doti del protagonista. Anzi, dei protagonisti.

In Rheingold, infatti, il ruolo di Xatar è affidato dapprima al diciottenne Ilyes Raoul, perfetto nell’interpretare il giovane emigrato alle prese con quella miscellanea di etnie che quotidianamente si incontra e si scontra nei bassifondi della tentacolare Bonn. E poi, si trasforma nel muscolare e carismatico Emilio Sakraya, assolutamente a suo agio nel ripercorrere le orme del rapper curdo in età adulta. Il vivace biopic di Fatih Akin ha tutta la spavalderia e l’esplosività che Xatar canta nei suoi pezzi. Neanche a dirlo, infatti, l’intera colonna sonora è un furioso concentrato del più sofferto rap che il musicista sia mai stato in grado di sfornare.
Amore, famiglia, abbandono, guerra e soldi sono le tematiche che più di tutte ricorrono nelle sue canzoni e proprio l’ultimo di questi aspetti è quello che più di tutti riconduce al titolo del film. A questo punto della recensione, teoricamente, una domanda dovrebbe sorgere spontanea: ma quel Rheingold lì, cosa starebbe a significare? L’oro del Reno, è infatti il primo dei quattro drammi musicali che compongono la tetralogia L’anello del Nibelungo di Richard Wagner, patrimonio del romanticismo musicale tedesco.
C’è l’oro, quindi, a ricollegarci alla scena iniziale del film. E c’è di nuovo la musica a caratterizzare la vita di Xatar e l’opera di Akin, come unica via di fuga da un destino che, altresì, sembra fin troppo scontato. Ed è un finale poetico, inaspettato e dalle forti tinte fiabesche quello che svela il significato delle parole ripetute come un mantra dal padre di Giwar, Eghbal, sia a se stesso che a suo figlio: «Anche alla notte più buia, fa seguito un’alba radiosa».
SCHEDA TECNICA
Regia: Fatih Akin
Genere: Drammatico, Biopic
Paese: Germania, Olanda, Marocco, Messico
Durata: 138 min.
Con: Emilio Sakraya, Mona Pirzard, Ilyes Raoul, Sogol Faghani, Kardo Razzazi
Votazione: 7,5/10
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