È un film strano Una notte a New York. È esattamente il tipo di cinema che mi piace: dove l’assenza di effetti speciali e orrende CGI lascia spazio all’intensità emotiva e alle prove attoriali dei protagonisti, per raccontare storie di vita ordinaria, di vita vissuta o di quella vita che potrebbe essere. Ecco perché, per godere a pieno di un film come questo, credo sia necessario mettere in campo tutta la sospensione della realtà di cui si è capaci e concentrarsi proprio sulle performance degli interpreti anziché sull’ipotetico realismo della storia. Uno dei motivi è presto detto: già nel 1976 Travis Bickle/Robert De Niro affermava che: «Vengono fuori gli animali più strani, la notte: puttane, sfruttatori, mendicanti, drogati, spacciatori di droga, ladri, scippatori. Un giorno o l’altro verrà fuori un altro diluvio universale e ripulirà le strade una volta per sempre».
È quindi complicato credere che un viaggio in taxi di 50 minuti (escluso il traffico) possa spingere due perfetti sconosciuti a esporsi così profondamente come invece avviene in Una notte a New York. Ma è proprio qui che subentra l’abilità di regista e attori: se in Taxi Driver, Martin Scorsese si soffermava principalmente sul senso di alienazione del protagonista verso il mondo esterno (e interno) e sul disagio psichico dello stesso, al suo esordio sul grande schermo, Christy Hall sceglie di esplorare l’ambito delle connessioni umane. Quelle più inaspettate e improbabili, che nascono dal nulla per finire col rivelarsi più sincere. Il merito della regista, che del film è anche sceneggiatrice e co-produttrice, sta infatti nel riuscire ad attingere da tutto il suo background teatrale per cucire addosso ai due protagonisti, una storia che, tutto sommato, su quei due calza a pennello.

Al netto dei tanti cliché su donne e uomini, che nel film si notano tutti e che arrivano quasi a scivolare in un mansplaining neppure troppo velato (ed è davvero singolare, considerando che dietro la macchina da presa non c’è una mano maschile), è probabile che Christy Hall abbia pagato l’inesperienza cinematografica. Originariamente concepito come pièce teatrale, infatti, di cui son ben evidenti le peculiarità, Una notte a New York ripropone uno stile già visto in opere come Locke (2013) e Collateral (2004), prima di trasformarsi in un’esperienza anomala ma coinvolgente, grazie soprattutto alle convincenti prove di Sean Penn e Dakota Johnson.
Se il primo ci ha ormai abituati a interpretazioni maiuscole come in Vittime di guerra (1989), Accordi e disaccordi (2000), Mystic River (2004) o Milk (2009), solo per citarne alcuni, è proprio Dakota Johnson la vera sorpresa del film. Reduce da peccati interpretativi di gioventù di cui porta ancora le stimmate (un po’ come accaduto a Robert Pattinson), l’attrice si esprime come meglio non avrebbe potuto fare in un ruolo che le offre, finalmente, la possibilità di esplorare un personaggio emotivamente complesso, sospeso tra forza, vulnerabilità e resilienza. E sapete qual è la cosa bella? Che questi due, sul grande schermo, funzionano alla grande e la loro alchimia è qualcosa di tanto inaspettato quanto apprezzato. A patto di guardare il film in lingua originale, s’intende.

Il titolo originale, Daddio, è un vezzeggiativo del termine Daddy che avrebbe, di per sé, sposato egregiamente la sottotrama del film. Nel Belpaese, però, siamo talmente chirurgici nello snaturare quei titoli che il tutto potrebbe quasi richiamare un “cinepanettone fuori stagione”. Fortunatamente il pericolo è scampato, e nel film si toccano presto tematiche universali come il rapporto genitori/figli, la scoperta delle proprie emozioni, il desiderio di essere accettati, la paura dell’abbandono e la possibilità di redenzione attraverso la consapevolezza. Il film è intriso di una riflessione sulla solitudine e sulla difficoltà di aprirsi agli altri: i dialoghi possono mentire a volte, questo è vero. Ma i volti mai. È attraverso i volti e gli sguardi che le storie si raccontano.
Christy Hall lo sa di sicuro e, con uso intelligente delle angolazioni, insiste sugli occhi dei protagonisti che si incrociano per lo più attraverso lo specchietto retrovisore del taxi. Lei è bella, giovane e “sa quello che vuole”. Lui è più maturo, rozzo ed è uno che “presta attenzione ai dettagli”. Mondi ed esperienze apparentemente lontani tra di loro ma con tanto in comune. A chiudere il cerchio, con le luci di Manhattan sullo sfondo, la malinconica colonna sonora di Dickon Hinchliffe accompagna la fotografia di Phedon Papamichael (The Million Dollar Hotel, Il processo ai Chicago 7 e A Complete Unknown) che, soffermandosi più e più volte sul viso della protagonista, omaggia ancora una volta Taxi Driver e Cibyll Sheperd. E quando Dakota Johnson sale sul taxi, lo capisci subito che non sarà una corsa come le altre.
SCHEDA TECNICA
Titolo originale: Daddio
Regia: Christy Hall
Genere: Drammatico
Paese: USA
Durata: 101 min.
Con: Dakota Johnson, Sean Penn
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