«Se ti ho fatto qualcosa, dimmi che cosa ti ho fatto».
«Non mi hai fatto niente. È che non mi vai più a genio».
«Ti andavo a genio ieri!».
«Dici, eh?».
L’inizio e la fine di tutto ha origine da questo scambio di battute nonsense. È una terra magica e onirica l’Irlanda, e per il suo quinto lavoro da regista, Martin McDonagh sceglie proprio l”isola che gli ha regalato le origini. Uscito al cinema da meno di una settimana, Gli spiriti dell’isola si piazza in testa al boxoffice come il film più visto in Italia nel suo primo weekend di proiezione. Ora, che il cinema sia quanto di più intimo, soggettivo e personale esista, quantomeno a livello di gusti, sensazioni ed emozioni, non lo stiamo scoprendo certamente adesso e il nuovo film di McDonagh non scappa da questo assioma. Chi lo ama e chi lo odia, Gli spiriti dell’isola ha spaccato l’opinione del pubblico che poi, al di là della critica, è quello che giudica realmente il film. Un po’ come accade per Sanremo che, per inciso, parte stasera.
Da una parte c’è chi l’ha trovato lento, noioso e senza una trama credibile o ben strutturata. Dall’altra, chi l’ha amato e osannato, apprezzandone sceneggiatura, fotografia e le interpretazioni eccezionali dei protagonisti. Tra l’altro, grandissimo Colin Farrell ma quel Brandan Gleeson lì, già apprezzato (tra gli altri) in Braveheart, Michael Collins, Gangs of New York e Troy, si merita davvero un paio di stout offerte dalla casa. Diatribe, spaccature e dualismi, quindi, già a partire dal pubblico. Caratteristiche che, guarda caso, sono al centro della trama disegnata dal buon Martin McDonagh. Ma quante ne sa il regista di Tre manifesti a Ebbing, Missouri e In Bruges, eh?

Come mai, però, tutto questo clamore attorno alla pellicola e una così marcata divergenza di opinioni? Andiamo a ragionare, ad esempio, sul trailer. Per quanto mi riguarda, da qualche tempo a questa parte, faccio fatica a trovare dei film interessanti al cinema. Se poi consideriamo che proprio dal trailer, in genere, riesci un po’ a tirare le somme e, se sei anche un po’ “sgamato”, hai modo di fiutare l’ennesima fregatura o la possibile pellicola della vita, è chiaro che la promozione de Gli spiriti dell’isola miri, volente o nolente, a portarti da tutt’altra parte rispetto al vero senso del film. Dico questo perché, normalmente, una delle prime cose che si fanno quando si parla di un film o se ne scrive una recensione, è quella di catalogarlo, a volte anche solo mentalmente, in un determinato genere. E quando te lo vendono come “commedia brillante”, “esilarante” e dallo “humour travolgente”, è ovvio che lo spettatore possa aspettarsi di andare a vedere una nuova commedia irish, sulla falsariga di Svegliati Ned, che pure ho adorato e adoro tutt’ora.
Tra i lettori di Stazione Cinema, i più vintage, ricorderanno di sicuro quelle inserzioni che pubblicizzavano gli occhialini per vedere attraverso i muri. Ecco, in tutta franchezza mi sento di paragonare l’affidabilità di quelle inserzioni alle frasi di lancio del film. Ma è marketing e ci può anche stare, più o meno. Quello che penso è che per essere pienamente apprezzato, Gli spiriti dell’isola debba essere accompagnato da una grande, sana e genuina passione per l’Irlanda e gli irlandesi. E nonostante tutto, potrebbe anche non bastare. Tre Golden Globe e nove candidature agli Oscar 2023 per Gli spiriti dell’isola: una favola nera, a tratti feroce, carica di richiami al meraviglioso folklore irlandese. Un’allegoria cupa e silenziosa che fotografa un popolo fiero, orgoglioso, a tratti turbolento o spigoloso ma anche gentile ed estremamente accogliente. Una contraddizione continua.

Sull’immaginaria isola di Inisherin, si snodano le vicende di Colm (Brendan Gleeson) e Pádraic (Colin Farrell): un tempo migliori ed ora silenziosamente e inspiegabilmente divisi, quasi degli sconosciuti. Uno non sopporta più l’altro e l’altro non accetta la fine dell’amicizia. Siamo nell’Irlanda degli anni ’20, sul finire del conflitto civile. E se dalla terra ferma riecheggiano gli echi della guerra che devastano una nazione, l’animo umano e le sue mille sfaccettature, coi suoi contrasti e le sue incomprensioni, è sviscerato e messo in comparazione proprio col conflitto bellico. Un rapporto saldo e duraturo che sfocia nella più insensata e futile ferocia bellico/esistenziale col regista che approfondisce, ancora una volta, il concetto di solitudine e abbandono. È così che la sorella di Pádraic, superbamente interpretata da Kerry Condon (Tre manifesti a Ebbing, Missouri e Dreamland), diventa l’unico protagonista (bipede) a trovare una via di fuga dall’assurdità della situazione e da una società che, seppure lentamente, si muove verso il cambiamento.
Dopo In Bruges, il dinamico duo Farrell-Gleeson, è di nuovo centrale nell’opera di Martin McDonagh, spalleggiato però, dalle sontuose interpretazioni di Barry Keoghan e della stessa Condon. E se tutti e quattro gli interpreti del film (sì, il cast è ridotto all’osso) sono candidati agli Oscar, un motivo ci dovrà pure essere. La frattura tra i due protagonisti è brutale, netta. Un malessere sociale e deprimente che tradisce il più classico romanticismo irlandese, arrivando a travolgere anche la sfera intima degli altri personaggi. La donna in nero che siamo portati a identificare con una delle Banshee della tradizione irlandese e del titolo originale del film, The Banshees of Inisherin, è portatrice di sventure e angosce. E mi porgo una domanda, forse onirica o solo una mia elucubrazione, potenziale spoiler per chiunque non abbia ancora visto il film. Se anche Colm, nel pieno della sua malinconica e angosciante follia, solo e riflessivo sulla spiaggia, nelle scene finali del film, si rivelasse come uno di quei tormentati Spiriti dell’isola?
SCHEDA TECNICA
Regia: Martin McDonagh
Genere: Drammatico
Paese: USA, Regno Unito, Irlanda
Durata: 114 min.
Con: Colin Farrell, Brandan Gleeson, Kerry Condon, Barry Keoghan, Gary Lydon
Votazione: 8.5/10
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