Non so se sia ancora così ma una volta i bambini venivano messi a letto con un “C’era una volta…”, che lasciava presagire storie di mondi magici, principi, principesse e castelli incantati. Poi, però, una volta cresciuti, a quegli stessi bambini, ormai grandi, bastava leggere l’ultima frase della fiaba, che nella stragrande maggioranza delle volte recitava: “…e vissero tutti felici e contenti”, per capire come la fregatura fosse dietro l’angolo. Innanzitutto perché già il solo fatto di vivere “felici e contenti” è un privilegio non da poco e non da tutti. E poi perché, a ben guardare, quelle stesse favole (e i fratelli Jacob e Wilhelm Grimm lo sapevano molto bene) non sono mai state del tutto innocue. Prendiamo Cappuccetto Rosso, ad esempio, che rischiava di essere divorata dal lupo cattivo o Hansel e Gretel che venivano abbandonati nel bosco per poi cadere prigionieri di una strega. Tutti strumenti di paura, insegnamento o formazione, capaci di raccontare atrocità senza mezze misure.
È da consapevolezze come questa che nasce The Ugly Stepsister, lungometraggio d’esordio di Emilie Blichfeldt, presentato in anteprima al Sundance Film Festival 2025 e successivamente proiettato nella sezione Panorama del 75° Festival Internazionale del Cinema di Berlino. La regista ridefinisce la fiaba di Cenerentola, spostando il focus dalla fanciulla dolce e remissiva a una delle sorellastre, costretta in un ruolo di invisibilità da un mondo che misura il valore con la perfezione estetica. La bellezza diventa, così, il metro di ogni giudizio, mentre l’invidia e il desiderio di riconoscimento trasformano il corpo e la mente della protagonista in un labirinto di contraddizioni tra accettazione e rifiuto di sé.

In questo universo deformato eppure così simile a quello reale, Emilie Blichfeldt costruisce un quartetto femminile complesso e teso. Elvira (Lea Myren) è la sorellastra “brutta”, quella che la tradizione ha sempre dipinto come la controparte meschina e invidiosa della protagonista. Nel film, però, rappresenta il cuore pulsante del racconto e ci viene mostrata come una ragazza che accetta la propria identità solo attraverso lo sguardo altrui, convinta che l’amore e l’approvazione si conquistino esclusivamente aderendo alle aspettative degli altri. La sua innocenza si trasforma così in veleno, fino a corroderla dall’interno. A rendere tutto più sottile e crudele è il modo in cui il film trasforma il concetto di “grazia femminile” in qualcosa di grottesco e surreale, svuotandolo di ogni significato. Quando Elvira abbaia davanti al principe, l’eleganza si fa parodia e la bellezza si rivela per ciò che è, uno strumento di addomesticamento.
Alma, al contrario, che nel film è interpretata da Flo Fagerli, rappresenta l’altra faccia della stessa prigione. Nega la propria femminilità e invece di accettare la trasformazione in donna, la cancella nascondendo il menarca, indossando abiti maschili e cercando di sottrarsi al destino sociale che la fiaba le impone. E già per questo meriterebbe il gradino più alto nel podio dei personaggi ma anche delle interpretazioni. In lei la ribellione si traduce in fuga e in un tentativo disperato di eludere quello sguardo che definisce e giudica. Mentre Elvira si perde nel bisogno di piacere, Alma si logora nel rifiuto di un ruolo già scritto. Due percorsi opposti che finiscono per specchiarsi l’uno nell’altro, incarnando due estremi della stessa tensione in cui essere donna significa trovarsi intrappolate tra l’idealizzazione della fiaba e l’ombra del mostro.

Completano il quadro la matrigna (Ane Dahl Top) e Agnes (Thea Sofie Loch Næss) con sfumature altrettanto complesse ma non meno ambigue. La prima incarna il potere e la rigidità del mondo adulto, con una presenza autoritaria e calcolatrice che spinge le figlie verso le aspettative sociali. La seconda, invece, si discosta nettamente dalla fragile figura raccontata dai Grimm ed anzi, appare astuta e consapevole del proprio potere, nonché in grado di muoversi con naturalezza tra apparente innocenza e sottile opportunismo. Non è la mera vittima della storia e, proprio questa scelta narrativa, sovverte l’idea tradizionale che purezza equivalga a bontà.
Emilie Blichfeldt, quindi, non si limita a reinterpretare la storia ma la decostruisce attraverso una rielaborazione di costante inquietudine e tensione psicologica, di un’attualità disarmante. La rabbia, l’invidia e l’ossessione di Elvira, infatti, diventano lo specchio di un’umanità che ha interiorizzato il culto dell’apparenza e dove crudeltà, ambizione e frustrazione emergono in ogni gesto, trasformando la fiaba in una riflessione feroce sul potere, la sessualità e l’ossessione estetica.

Il film esprime tutta la cifra stilistica più tipica del cinema nord-europeo, con la fotografia gotica di Marcel Zyskind che alterna ombre intense e luce naturale e le bellissime scenografie ad evocare incisioni ottocentesche. Un plauso anche a Manon Rasmussen, che con i suoi costumi rende visibile ogni sfumatura psicologica dei personaggi e rafforza l’equilibrio tra realtà e fiaba deformata che attraversa l’intero film. Le influenze che hanno ispirato la regista appaiono piuttosto evidenti e richiamano al body horror di David Cronenberg, nella fisicità estrema di alcune scene, al ribaltamento sessuale e psicologico di Michael Pataki e alla poetica femminile e post-femminista di Angela Carter, habitué nel rileggere le fiabe tradizionali con sguardo critico, irriverente e, oltretutto, consapevole del ruolo della donna.
Anche la colonna sonora gioca un ruolo fondamentale nell’economia del film, alternando beat elettronici e momenti orchestrali, in un mix di avant-garde pop sperimentale, firmato John Erik Kaada e Vilde Tuv, che magnetizza lo spettatore e amplifica emozioni e tensioni, trasformando ogni scena in un’esperienza intensa e originale. In The Ugly Stepsister, Emilie Blichfeldt non ci offre consolazione ma ci costringe a guardare dentro il labirinto delle ambizioni, delle fragilità e delle ossessioni umane. Il film si muove tra grazia e crudeltà, tra incanto e tensione, mostrando quanto la bellezza possa diventare potere e trappola al tempo stesso, e quanto l’innocenza possa assumere una tossicità letale. Resta una sensazione di meraviglia inquieta, come se la fiaba si fosse rovesciata e ci invitasse a riflettere su ciò che significa davvero crescere in un mondo che valuta ogni gesto attraverso lo sguardo degli altri.
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SCHEDA TECNICA
Titolo Originale: Den Stygge Stesøsteren
Regia: Emilie Blichfeldt
Genere: Horror
Paese: Norvegia, Polonia, Svezia, Danimarca
Durata: 105 min.
Con: Lea Myren, Ane Dahl Torp, Thea Sofie Loch Næss, Flo Fagerli, Isac Calmroth, Malte Gårdinger
Casa di produzione: Mer Film, Lava Films, Zentropa, Motor
Distribuzione in italiano: I Wonder Pictures
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