Cinema e Teatro sono forme artistiche che presentano aspetti comuni, pur mantenendo vive sostanziali differenze. Raccontano storie, parlano al pubblico e regalano emozioni, attraverso tempi, luoghi, modalità ed espressioni comunicative diverse. Entrambe le discipline si basano sulla narrazione e l’interpretazione di testi (sceneggiature o copioni che siano), in esse è fondamentale l’impatto estetico-visivo, così come la caratterizzazione dei personaggi e le performance attoriali. Nel cinema, però, montaggio e progresso tecnologico forniscono un considerevole “vantaggio manipolativo” nella rappresentazione di una sceneggiatura rispetto a quanto avviene nel teatro, dove tutto è più veloce, immediato, diretto e fisico.
Se consideriamo ormai “datata” la nascita del cinema, figuriamoci cosa dovremmo dire sulle prime rappresentazioni teatrali che sono da ricondursi addirittura all’antico Egitto. Nel corso degli anni, però, il cinema ha attinto a piene mani dal teatro, cercando la commistione di due stili narrativi e rappresentativi sicuramente differenti ma uniti dalla passione per il racconto e le emozioni.
Ecco, quindi, una robusta selezione di alcune pièce teatrali che, nel tempo, hanno trovato una loro adeguata trasposizione sul grande schermo:
- LA LEGGENDA DEL PIANISTA SULL’OCEANO (1998, di Giuseppe Tornatore): È dal 1994 che Alessandro Baricco continua a emozionare spettatori e lettori col suo “Novecento”. Quattro anni dopo, Giuseppe Tornatore porta quel monologo sul grande schermo, senza tradirne gli intenti originali. Un’opera toccante e magnifica, che ha come protagonisti un superlativo Tim Roth e le meravigliose note di Ennio Morricone. La regia è assolutamente ineccepibile, così come le interpretazioni e la fotografia. Surreale nella sua idea, il film è una delle migliori trasposizioni di sempre.
- ROMEO + GIULIETTA DI WILLIAM SHAKESPEARE (1996, di Baz Luhrmann): Difficile, se non impossibile, parlare di teatro senza citare William Shakespeare. Facciamolo con Baz Luhrmann che si avvicina a una delle più celebri e rappresentative tragedie del drammaturgo inglese, trasponendola in chiave moderna, colorata e un tantino kitsch. Montecchi e Capuleti si danno battaglia nella California anni ’90, con Leonardo DiCaprio e Claire Danes protagonisti di quello che è stato un incredibile successo commerciale (per quel periodo) ma anche un film che ha mostrato le enormi potenzialità del regista. Non la migliore trasposizione, probabilmente la più bizzarra, certamente la più originale.
- IL DUBBIO (2008, di John Patrick Shanley): Parlando di trasposizioni cinematografiche dal teatro, se un regista è anche drammaturgo ed è in grado di scriversi e dirigersi autonomamente commedie e film, tanto da vincere un Oscar per la sceneggiatura e un Pulitzer proprio per la drammaturgia, siamo sicuri che sia cosa buona e giusta che continui a farlo. Badate bene, quest’espressione biblica non è buttata lì a caso, viste le tematiche affrontate nell’opera. Il film risente molto dell’impostazione teatrale da cui deriva, tanto da perdere dinamicità in alcuni passaggi. Ma se ti presenti al botteghino con due pezzi da novanta come Meryl Streep e Philip Seymour Hoffman, hai già vinto in partenza. Da vedere!
- IL MERCANTE DI VENEZIA (2004, di Michael Radford): Ancora William Shakespeare in selezione, stavolta in una delle sue opere più intense e controverse. Al Pacino e Jeremy Irons sono ispiratissimi e, soprattutto il primo, conferisce al suo personaggio un animo ancora più sofferto e rabbioso, con una delle sue migliori e sempre poco ricordate interpretazioni. Un film benfatto, arguto e potentissimo, assolutamente fedele all’opera originale.
- UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO (1951, di Elia Kazan): Forse il capolavoro del regista greco-statunitense, con un Marlon Brando assolutamente iconico e una Vivien Leigh candidata all’Oscar come miglior attrice. Il film è tratto dall’omonima opera di Tennessee Williams, che della pellicola ha curato la sceneggiatura, ed è universalmente annoverato tra i capolavori del cinema americano. Un film decisamente smussato nei toni, rispetto a quelli originali, ma che trasuda sensualità, ferocia e follia allo stato puro. Interpretato magistralmente e curato nella regia in maniera impeccabile, è un delitto non vederlo almeno una volta nella vita.
- AMERICANI (1992, di James Foley): Al Pacino, Jack Lemmon, Alec Baldwin, Ed Harris, Jonathan Pryce, Kevin Spacey e Alan Arkin nel film tratto dalla pièce “Glengarry Glen Ross” di David Mamet, che della pellicola è anche sceneggiatore. Un parterre del genere farebbe la fortuna di qualsiasi regista e, infatti, qui abbiamo uno di quei film da vedere e rivedere, in un feroce e spietato “quadro d’ufficio”, indescrivibile per potenza e maestosità degli interpreti nonché delle loro perfomance. Un dramma smaccatamente teatrale in cui la regia appare piuttosto piatta (d’altronde Foley non è mai stato un fenomeno della macchina da presa) e in cui il cast naviga senza bisogno di un comandante.
- MATRIMONIO ALL’ITALIANA (1964, di Vittorio De Sica): Liberamente ispirato alla commedia teatrale di Eduardo De Filippo, “Filomena Marturano”, il film conta intelligentemente sulla consolidata e sempre vincente accoppiata Mastroianni-Loren. Vittorio De Sica dirige con la solita padronanza ma la sceneggiatura non l’aiuta più di tanto. Tocca, quindi, proprio ai due protagonisti, rimboccarsi le maniche per cercare nell’opera quel dramma e quella profondità che nella rappresentazione eduardiana erano ben più radicate. I flashback iniziali sono una scelta vincente ma, di tanto in tanto rischiosa, poiché appesantiscono un po’ la fluidità del film.
- CLOSER (2004, di Mike Nichols): Il regista dirige un manipolo di interpreti ma apporta alcune importanti modifiche rispetto all’omonima opera teatrale di Patrick Marber. Il risultato finale non è un capolavoro ma un film zeppo di dialoghi, forti e audaci, che graffia a sufficienza e in modo non banale. L’impronta teatrale è evidente e a farla da padrona c’è una massiccia dose di cinismo e ipocrisia che permea il rapporto tra uomo e donna.
- A SPASSO CON DAISY (1989, di Bruce Beresford): Il regista è intelligente nel fare un passo indietro e lasciare ampia libertà ai due protagonisti. Jessica Tandy e Morgan Freeman funzionano alla grande sul grande schermo ma il problema del film, più che dell’opera teatrale di Alfred Uhry da cui è tratto, è il passaggio solo accennato sulla questione della segregazione razziale. Una storia comunque tenera e affascinante che sceglie di puntare maggiormente sulle differenze caratteriali e di status dei personaggi principali. Alle musiche c’è Hans Zimmer.
- BRONX (1993, di Robert De Niro): Alla sua prima esperienza da regista, Robert De Niro gioca sul sicuro e porta sul grande schermo il riadattamento dell’omonima pièce teatrale scritta da Chazz Palminteri che è anche sceneggiatore del film. I due si muovono all’unisono e ne nasce una pellicola di formazione che racconta la complessità di crescere in un quartiere difficile come quello del Bronx. Una pellicola di spessore e dal sapore nostalgico, dove due visioni della vita agli antipodi, l’una rispetto all’altra, finiscono con lo scontrarsi rumorosamente in quella del protagonista. È uno dei miei film del cuore.
- MOLTO RUMORE PER NULLA (1993, di Kenneth Branagh): Il regista nordirlandese si rifugia ottimamente in quello che è il suo habitat naturale e, ovvio a dirlo, si misura ancora una volta con William Shakespeare. Apporta, inoltre, diverse modifiche rispetto all’opera originale, pur mantenendone inalterato lo spirito brioso e scorrevole e rispettandone i tempi drammatici e la filologia. Un cast di assoluto livello in cui figurano lo stesso Branagh, Emma Thompson e Denzel Washington, per un film che mette in luce tutta la passione del regista per il teatro.
- CARNAGE (2011, di Roman Polański): Film girato per lo più in un appartamento newyorchese e basato sull’opera “Il dio del massacro” della drammaturga francese Yazmina Reza. La linea che divide la diplomazia dagli istinti più selvaggi, insiti in ciascuno di noi, appare più sottile che mai, anche grazie a un meraviglioso cast in grado di esprimersi al meglio e abile nello sfruttare i numerosi spunti ironici che la storia offre. Una dark comedy cinica e tagliente che porta sul grande schermo tutta la potenza del teatro, in appena 80 minuti di girato. Bello.
- BARRIERE (2016, di Denzel Washington): Il primo amore non si scorda mai. Denzel Washington questo lo sa, e sceglie di portare su pellicola l’opera teatrale “Fences”, di August Wilson, vincitrice del premio Pulitzer. Il risultato non incide come sperato (è un buon film, sia chiaro), anche per via del minutaggio impegnativo e della regia ancora acerba di Washington, seppur l’impostazione teatrale si respiri tutta. Il film è infatti ricco di dialoghi e riflessioni e spinge molto sulle capacità attoriali dei protagonisti e soprattutto su quelle di Viola Davis, che finisce con l’aggiudicarsi l’oscar come Miglior attrice non protagonista. Un prodotto sicuramente valido ma non quanto l’opera originale.
- VI PRESENTO JOE BLACK (1998, di Martin Brest): “La morte in vacanza” di Alberto Casella colpisce ancora, stavolta con un titolo meno profetico e sotto la direzione cinematografica di un regista che sa il fatto suo come Martin Brest. Eppure il prodotto finale è un film che “poteva essere” ma che, a conti fatti, “non è”. La bellissima idea originale non viene sfruttata a pieno e, ahimè, nemmeno la presenza di Brad Pitt ma soprattutto quella di Anthony Hopkins, riescono a salvare un film pretenzioso, ben confezionato ma poco concreto. In una selezione di titoli tratti da opere teatrali, però, questo è uno di quelli che trova sempre la sua collocazione.
- SWEENEY TODD – IL DIABOLICO BARBIERE DI FLEET STREET (2007, di Tim Burton): Mai apprezzato pienamente Tim Burton, ad eccezion fatta per alcuni suoi lavori, ma qui ci troviamo senza ombra di dubbio davanti a una delle sue opere più interessanti e sottovalutate. Dante Ferretti alla scenografia fa il suo solito (eccellente) lavoro, montaggio e fotografia sono ottimi per un’opera horror/grottesca dall’impatto visivo imponente. Buone prove da parte del cast ma il punto debole, forse, sta proprio nel comparto musicale, ben lontano dai fasti di “Nightmare Before Christmas”. E per un musical, non è certo cosa da poco. Datemi retta, però, se vi dico che in giro c’è molto di peggio rispetto a questo adattamento.
- QUELLA NOTTE A MIAMI… (2020, di Regina King): Cosa ci fanno quattro assi come Cassius Clay, Malcolm X, Sam Cooke e Jim Brown, a discutere in una camera di motel? Per info, chiedere a Regina King che adatta, per il cinema, l’omonima opera teatrale scritta da Kemp Powers. Un film eccellente, ben diretto e ottimamente recitato, che tratta in maniera interessante temi importanti, mettendo in evidenza le luci e le ombre che attanagliano la coscienza dei protagonisti. Non becera propaganda né discorsi fini a sé stessi ma uno spunto di riflessione valido e non ridondante. Pellicola di cui si parla sempre poco e che merita assolutamente una visione. O anche di più, perché no?
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