C’è un concetto che ricorre nei film diretti da Peter Weir, ed è quello della dicotomia. Giovani e adulti, prigionia ed evasione, antico e moderno sono solo alcuni dei mondi che si incontrano e si scontrano in ogni sua opera. Nel rispetto delle consuetudini, Witness – Il testimone non fa differenza e mette in luce una profonda frattura tra due società così agli antipodi l’una dall’altra come possono essere la Philadelpihia corrotta e violenta in cui si muove un fantastico Harrison Ford, alla sua prova attoriale più solida e matura, e la comunità amish della Pennsylvania, regolata da dettami rurali, quasi fuori dal tempo nella sua semplicità, e totalmente scollegata da tecnologia e inutilità.
Già reduce da prodotti come Le macchine che distrussero Parigi, Gli anni spezzati e soprattutto Picnic a Hanging Rock, col suo primo film hollywoodiano, Peter Weir realizza un thriller intenso ma al contempo delicato e dalle atmosfere evocative, la cui scena più coinvolgente ritorna prepotentemente nelle sue stesse opere, caratterizzandone lo stile. Osservate con attenzione i momenti topici de L’attimo Fuggente o del sottovalutatissimo Master & Commander, solo per citarne alcuni, e capirete a cosa mi riferisco.

Una storia intelligente che sfrutta proprio il dualismo tipico della filmografia di Peter Weir per sottolineare l’importanza delle scelte che ciascuno di noi è chiamato a compiere nel corso della propria vita. Nel più classico principio causa/effetto, è proprio Harrison Ford a dover fare delle scelte per salvare il piccolo Samuel Lapp (Lukas Haas), testimone di un omicidio, così come la madre del bambino, Kelly McGillis, dovrà compiere le sue, combattuta tra quello che le gridano il cuore e la testa. Ancora il dualismo.
Non solo thriller e dramma, quindi. Perché Witness – Il testimone è anche una profonda e coinvolgente storia d’amore tra due protagonisti che si cercano, si trovano e mutano per poi allontanarsi. Weir dirige con mano ferma e riempie l’intero film di quella poetica che è una sua peculiarità, senza tuttavia mortificare i momenti di tensione e suspense che, anzi, ne escono rinvigoriti e funzionali. La sceneggiatura è affidata a Earl W. Wallace e William Kelley e la mossa si rivela più che azzeccata, visto che il dinamico duo porta a casa uno dei due Oscar ottenuti dal film, mentre Thom Noble pensa a quello per il miglior montaggio. Peccato davvero sia per il regista che per lo stesso Harrison Ford, perfettamente a suo agio nei panni dello sbirro cinico e navigato, che restano a secco mentre quelle otto nomination gridano vendetta e la dicono lunga sulla qualità del film.
In Witness, infatti, c’è tutto quello ci si possa aspettare da un film del genere: intrighi, colpi di scena, amore, azione, una fotografia eccezionale e quel pizzico di ironia che solo l’espressione di Harrison Ford sa regalare. Aggiungiamoci anche una colonna sonora pennellata ad hoc da un pezzo da novanta come Maurice Jarre (Il dottor Zivago, Mad Max oltre la sfera del tuono, Ghost) e il quadro è completo. Eppure, ancora oggi e nonostante il film rientri senza dubbio tra le migliori realizzazioni di quella decade (e sì che gli anni ’80 di ottime produzioni ne hanno sfornate, eh…), quello di Peter Weir è un nome che rimane quasi sempre all’angolo, quando si parla di cinema, e Witness è uno di quei titoli che raramente vengono ricordati tra i suoi successi.

Il tutto è piuttosto bizzarro se consideriamo che, al momento della sua uscita in sala, Witness aveva ottenuto un più che discreto successo di pubblico e critica, merito non solo di una narrazione fluida e coinvolgente (cosa in cui Peter Weir è maestro) ma anche di un cast di tutto rispetto. Nell’opera, infatti, troviamo anche grandi interpreti di quel periodo come Danny Glover e Josef Sommer, fino ad un piccolo cameo di un giovane e disorientato Viggo Mortensen che ancora non ambiva ad essere l’erede al trono di Isildur.
Ma come fa un’opera, il cui genere si snoda agevolmente tra il thriller, il drammatico e il poliziesco, a mantenere così intatta la sua delicatezza, la sua credibilità e la sua potenza evocativa, ad oltre trentott’anni dalla sua uscita? Cos’è che Witness ci vuole trasmettere? In questo senso, c’è ancora una volta da chiamare in causa Peter Weir. Il suo merito, infatti, al di là di quella che è la sua preparazione nel fare cinema, nasce proprio dal contesto in cui si sviluppa il film.
PICCOLO SPOILER. Il regista si rivolge direttamente al pubblico quando mostra come sia possibile risolvere pacificamente un “conflitto”, anche grazie allo spirito di aggregazione, all’armonia, al rispetto e al senso di comunione che lega una comunità come quella amish, fino ad allora pressoché ignorata da Hollywood. E in piena Guerra Fredda, periodo cinematograficamente remunerativo ma profondamente inquinato dalla propaganda, un aspetto simile non era certo da sottovalutare, richiedendo anzi una certa dose di coraggio e consapevolezza. “Witness” significa “Testimone”. La responsabilità della collettività, il potere di guardare e non voltare le spalle, scegliere di non ignorare, agire per il bene comune. Messaggi che, a dirla tutta, ancora oggi non perdono un briciolo della loro forza.
SCHEDA TECNICA
Regia: Peter Weir
Genere: Thriller, Drammatico
Paese: USA
Durata: 112 min.
Con: Harrison Ford, Kelly McGillis, Josef Sommer, Lukas Haas, Danny Glover, Patti LuPone
Votazione: 8,0/10
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