L’odio (1995), di Mathieu Kassovitz

«Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro, il tizio, per farsi coraggio, si ripete: “Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene”. Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio».

È la voce narrante di Hubert che ci getta dentro un film crudo, intenso e difficile da digerire. L’odio racconta una storia in bianco e nero, nel senso più intimo del termine, vera e feroce. Un ritmo serrato (e vi assicuro che lo è anche nei momenti più blandi) che colpisce dall’inizio alla fine senza darti il tempo di reagire. Partiamo da un presupposto: se mai vi capitasse di frequentare un corso di cinema, regia, critica cinematografica, sceneggiatura o di semplice scrittura creativa, noterete che uno dei punti su cui i docenti insisteranno di più (se il corso è di qualità, beninteso) sarà sempre lo stesso. “Parlate e scrivete di quello che conoscete”.

Mathieu Kassovitz questo lo fa alla perfezione e sforna un’opera dal valore socio-culturale inestimabile ed attualissima, in grado di aggiudicarsi il premio per la miglior regia al Festival di Cannes. Lui, regista parigino, nato da genitori registi e parigini, che dirige i tre protagonisti, anch’essi parigini ma che la stessa Parigi considera di “serie B”. Vinz è ebreo, Hubert nero, Said magrebino. Tre personaggi apparentemente distanti tra loro, sia nell’indole che nelle ambizioni, eppure così profondamente uniti dal senso di appartenenza ad una comunità che viaggia ai margini della Francia e della sua capitale.

Le chiamano banlieue. Zone calde come polveriere, popolate di anime inquiete e personaggi tormentati che vivono storie di (stra)ordinario disagio economico e sociale, in una fallimentare politica di integrazione che alimenta malessere e frustrazioni. La bravura del regista sta proprio nell’aver anticipato, e quantomai attualizzato, l’annoso clima di tensione poi sfociato nelle violenze che ben conosciamo. Kassovitz fa il suo mestiere con grande efficacia e senza rifugiarsi in “banalismi” o facili retoriche. Dirige consapevolmente un film che già al momento della sua uscita in sala aveva ottenuto un larghissimo consenso sia di critica che di pubblico e che, col tempo, si sarebbe poi affermato su tutto il territorio nazionale e internazionale come un vero cult nel suo genere.

Vincent Cassel (Dobermann, I fiumi di porpora, Il cigno nero), Hubert Koundé (Meticcio, La Sicilia) e Saïd Taghmaoui (Three Kings, The Forgiven) sono strepitosi nel portare sul grande schermo i tre protagonisti e soprattutto il primo ci regala una delle più intense prove attoriali della sua carriera. A loro agio nelle pur turbolente banlieue, “protetti” da quello spirito d’aggregazione così forte nelle periferie parigine, i tre ragazzi sembrano invece disorientati al momento di affrontare le vie della capitale francese, perdendo quella sicurezza che li rendeva quasi invulnerabili ad inizio film.

Le tematiche affrontate non rappresentano certo una novità nel panorama cinematografico contemporaneo. La particolarità dell’opera, però, si fa sentire al momento di analizzare i dettagli e le sfumature che la compongono. La surreale scena del bagno è tra i punti più alti del film: Vincent Cassel non fa tesoro dei consigli che i suoi compagni gli offrono per salvarlo dal famigerato “carro bestiame” narrato, nella parabola, da un anziano signore che si materializza all’improvviso, appagato dall’aver appena espletato le sue funzioni corporali.

Ecco allora che Vinz ci appare come il desiderio di riscatto da una vita fatta di rabbia e discriminazione, attuabile esclusivamente con la risposta violenta al pugno duro della polizia francese, nel classico dettame “’occhio per occhio”. Hubert prende le sembianze di chi, consapevole delle difficoltà ma animato da forza di volontà e buon senso, sceglie di migliorarsi fuggendo dalle banlieue e Said diventa colui che, da vile, accetta passivamente lo scorrere degli eventi, senza mai scegliere da che parte schierarsi. E la chiusura del film, che amaramente paragona la società attuale “all’uomo che precipita” nel non-joke iniziale (così lo chiamano gli inglesi e quelli bravi), ci lascia intendere come quella caduta appaia più che mai intrisa di odio.  Lo stesso odio che non manca mai di essere lì, ad accompagnare la vita e la caduta dei protagonisti.

SCHEDA TECNICA

Regia: Mathieu Kassovitz

Genere: Drammatico, Noir

Paese: Francia

Durata: 98 min.

Con: Vincent Cassel, Hubert Koundé, Saïd Taghmaoui, Marc Duret, Karim Belkhadra

Votazione: 8,5/10

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